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Clemens Waldthaler dal 1735 vini di frontiera

Quando fai vino e sei sul mercato dal 1735 vuol dire che stai indubbiamente facendo qualcosa di giusto, se poi sei un esponente di quella che può, a ragione, essere considerata una viticultura di frontiera, con tutto quello che questo comporta, ti sei sicuramente meritato un posto tra i fondatori di una zona vitivinicola come l’Alto Adige.
Qui la viticultura è per chi non ha paura di confrontarsi con il clima e con il fatto dover letteralmente strappare terreno alla montagna per piantare vigne che durante tutto l’arco dell’anno richiederanno un lavoro metodico e costante.

La Clemens Waldthaler Weingut, presto quattro secoli di onorato servizio, si trova ad Ora, Auer se vogliamo dirla in tedesco, visto che, geograficamente la linea di confine tra Trentino e Südtirol l’abbiamo già passata da qualche chilometro in una fresca mattinata dal cielo terso.
All’arrivo ci accoglie il piazzale dell’azienda deserto ed un panorama da togliere il fiato, per iniziare ci concediamo una breve passeggiata in vigna tra filari di Lagrein, Sauvignon, Pinot Bianco e Merlot mentre il padrone di casa, ne portico antistante la piccola, e antica, Küche inizia ad armeggiare con bottiglie e bicchieri ma prima è d’obbligo una visita alla parte antica della cantina ricavata in quello che nel XIII secolo era un convento.

Iniziamo dalla fustaia, ricavata una decina di metri nel sottosuolo, dove illuminati da una luce fioca riposano i piccoli e medi fusti di rovere francese, Clemens conosce l’ubicazione ed il contenuto di ognuno e con calma ci spiega nei dettagli la storia di ognuno di loro e ci anticipa il futuro del loro contenuto parlandoci dei futuri assemblaggi.
Risalita la ripida scala ci troviamo nella parte nuova della cantina costruita alla metà degli anni ’90 del secolo scorso e l’accostamento di nuovo e antico effettivamente procura una sensazione strana.

Finalmente approdiamo alla Küche e dopo esserci seduti sulle panche di legno iniziamo ad assaggiare il Pinot Bianco, o meglio il Weißburgunder, di un bel giallo paglierino non troppo carico con qualche riflesso più chiaro al naso si presenta con frutta a polpa bianca e gialla, con una nota citrica ben percettibile, il tutto di ottima intensità.
In bocca è equilibrato, di ottima acidità e replica fedelmente la percezione fruttata del naso, la persistenza è notevole.
Felice del primo assaggio, e delle spiegazioni di Clemens, vedo arrivare una bottiglia di Sauvignon e memore di una vecchia annata assaggiata circa vent’anni fa in questa stessa stanza, penso fosse il ’97, della quale conservo uno splendido ricordo, inizio a fibrillare.

L’esame visivo rivela subito limpidezza e vivacità del colore ma è quello olfattivo a risvegliare i ricordi del ’97, un equilibrio perfetto, e non esagero, tra vegetalità e mineralità, la foglia di pomodoro, per i francofili il “pisse de chat”, presente ma non invadente come in alcuni Sauvignon friulani che avevo assaggiato qualche giorno prima.
L’approccio gustativo è un’autentica esplosione di sensazioni che si rincorrono, con un duello tra la parte minerale e quella vegetale degno di un western d’autore e rimango in silenzio, cosa per me abbastanza strana, a godermi una persistenza che ha qualcosa di soprannaturale.

Saltiamo tutte le vinificazioni a base di Schiava, o Vernatsch come si usa dire qui, assaggeremo qualcosa a cena, e mi rincuora il fatto che il mio hotel è a qualche passo dalla cantina e a circa duecento metri dal ristorante.

Suà maestà il Pinot Nero, o Blauburgunder, il Lagrein, per poi passare a Merlot e Cabernet è quanto ci aspetta per i rossi e anche qui la cosa inizia a prendere subito la piega giusta con un Pinot Nero estremamente espressivo, scarico di estratti ma carico di profumi ed estremamente equilibrato in bocca, con quella nota bilanciatissima di acidità che aiuta a mettere in evidenza il frutto.

Il passaggio al Lagrein è un po’ come cambiare continente e mi accorgo subito di una virtuosa convivenza tra rusticità, in senso assolutamente positivo, ed eleganza.
Piccoli frutti rossi, che si replicheranno anche al gusto, e spezie si fondono perfettamente, il tannino è elegante ma perfettamente presente e, costante dei vini di Clemens Waldthaler, la persistenza inizia ad assurgere al leggendario.

Dopo i “borgognotti trasmigrati” e l’autoctono Lagrein, arriva adesso il momento dei bordolesi e ad aprire le danze è il bordolese per eccellenza: il Merlot.
Un Merlot Riserva, rubino scuro, che si annuncia subito imponente, non tanto per la potenza ma più per la complessità che al naso si propone diversa, in costante evoluzione ad ogni minuto di scambio aerobico, dopo qualche minuto di riflessione olfattiva arriva il momento di degustare e l’impatto con le papille è affascinante, frutti, spezie con un lontanissimo, ed elegante, sentore di vaniglia, tabacco dolce da pipa e una vaga nota di caffè mi stordiscono letteralmente.
Chiudiamo con il Cabernet Riserva che fa il paio con il Merlot appena assaggiato e anche qui la girandola di sensazioni è incredibile, frutti rossi e spezie sono presenti sia all’olfatto che al gusto, la parte dell’affinamento nei fusti di rovere è elegante e complementare, ottimamente gestita, il tannino è presente ma levigato.

Finiamo la degustazione e dopo qualche passo nel piazzale, circondato dai vigneti, mentre il tramonto incombe con i suoi splendidi colori, l’aria frizzante ci restituisce alla realtà, la degustazione è tra quelle che metterò tra le pietre miliari del mio percorso enologico ma è ora di andare a cena e ci attende un ristorantino, che avevo già provato qualche anno prima, ricavato nella canonica di un’antica chiesa, dove davanti ad una testina di vitello all’agro e ad un bicchiere di Caldaro Scelto, Kalterersee Auslese, uniremo sacro e profano.

 

Giovanni Veronese

© Riproduzione Riservata

(foto Giovanni Veronese)

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