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Dalla Borgogna alle Lofoten,

abbinamenti probabili

Chi ha detto che l’assioma pesce vino bianco debba essere la regola?
A dire il vero è già un po’ che non si “commette più peccato” ad abbinare un vino rosso al pesce a patto che si rispetti la regola della proporzionalità della struttura e nel caso che mi appresto a descrivere la cosa non è così semplice.
Olio d’oliva, cipolla, acciughe, farina, latte, una cottura lunga e quello stoccafisso, battuto e poi ammollato, che Piero Querini ci ha fatto la grazia di scoprire sull’isola di Røst, ovvero il bacalà alla vicentina, bacalà con una “c” come canonizzato dalla ricetta della Venerabile Confraternita, organo di tutela che preserva il piatto a base di pesce di mare alfiere gastronomico di una città pedemontana.
Per evitare di tenere ulteriormente il lettore sulle spine annuncio che il rosso prescelto è un Pinot Nero e che viene dalle colline di San Giovanni Ilarione nel veronese, il produttore è un signore, protagonista di un mio precedente articolo, che ha avuto il merito di riconciliarmi con il Durello spumante metodo classico, sto ovviamente parlando di Daniele Piccinin e del suo Pinot Nero Muni 2018 che mi ha colpito per il suo equilibrio, per quella grande eleganza che solo questo borgognone sa esprimere compiutamente, scarico di estratti, di un rosso rubino intenso si esprime al naso con piccoli frutti rossi, il mirtillo su tutti, denunciando al gusto  una piacevole freschezza ed un tannino levigato ma presente che mi aiuterà a bilanciare la parte grassa del piatto.
Per completezza di informazione è opportuno dire che, nella tradizione territoriale, esiste già un abbinamento tra il bacalà alla vicentina ed un vino rosso, quello con il Tai Rosso dei Colli Berici, ultimo nome attribuito a questo vino locale a base di Grenache, dopo una vera e propria odissea burocratica che l’ha visto cambiare nome per ben tre volte.
Il luogo della prova, nei fatti una vera e propria disfida, è Remo Villa Cariolato, uno dei templi indiscussi dello stoccafisso declinato alla vicentina ma anche del mantecato, quello che un certo Giacomo Casanova definì “il merluzzo di Terranova vischioso”, con il suo sospetto d’aglio e la ricchezza dell’olio extra vergine d’oliva, ma del mantecato parleremo più avanti e in altra sede.
Erede del precedente, e storico, Ristorante Da Remo, Remo Villa Cariolato, ha oggi la sua sede in una splendida villa ottocentesca circondata da un grande parco alberato, la famiglia Baratto dal 1977 fa ristorazione, quella con la “R” maiuscola, e tutto inizia con Mario Baratto, capostipite di una dinastia che adesso vede i figli Alver e Gianluca al timone del ristorante, mentre il nipote Danilo Baratto è al comando delle operazioni in cucina, dalla quale escono piatti della tradizione territoriale, quella scandita dalla stagionalità della materia prima, e intelligenti rivisitazioni dove la terra ed il mare trovano il loro equilibrio in una proposta mai monotona e sempre ben articolata.
Per il fondatore, Mario Baratto, il bacalà alla vicentina è sempre stato una missione, la ricerca di una perfezione del piatto, e a testimoniarlo c’è la sua militanza nella Confraternita del Bacalà alla Vicentina, depositaria dell’unica vera ricetta originale e che ha la sua sede a Sandrigo, gemellato proprio con Røst che recentemente ha dato il nome di Sandrigo ad un isolotto dell’arcipelago delle Lofoten, a suggellare un’unione che ha come comune denominatore proprio lo stoccafisso.
Dopo il doveroso assaggio del mantecato, una sorta di riscaldamento delle papille gustative, arriva il piatto che dovrà misurarsi in una singolar tenzone con il vino, il bacalà si presenta consistente quindi “masticabile”, personalmente ho un odio atavico per quelli ridotti ad improbabili creme, forse in un maldestro tentativo di destrutturazione, che non rendono giustizia al piatto, il profumo è inebriante ed il gusto deciso anche se nel complesso equilibrato, la cipolla è percettibile, e conferisce dolcezza all’assieme, ma non invadente.
Il connubio con il Pinot Nero risulta, a dir poco, ottimale, il vino compensa, e completa, perfettamente il piatto senza alienare nulla, permettendo di apprezzare appieno le sensazioni gustative offerte da entrambi, il tannino, levigato ed elegante, riesce a bilanciare perfettamente la parte grassa mettendo in risalto la parte aromatica del baccalà, di conseguenza possiamo tranquillamente dire che l’abbinamento baccalà alla vicentina e Pinot Nero ha un senso compiuto in una sorta di ulteriore gemellaggio tra la Borgogna e le isole Lofoten ovviamente con una doverosa sosta a Vicenza.

 

Giovanni Veronese

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