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El pan de Bari
Storie di pane in una Vicenza scomparsa

Succede tutto tra la fine dell’800 e l’inizio del novecento, una Vicenza diversa, un’Italia diversa che presto avrebbe conosciuto i lutti e la devastazione della grande guerra ma ai piedi dei Berici la vita scorreva tranquilla, l’abate Giacomo Zanella, cantore dell’Astichello aveva da poco concluso la sua esperienza terrena mentre in città una schiera di artisti e uomini di cultura locali ravvivano la scena culturale.
Lo scenario è quello di Sant’Agostino con la sua badia quattrocentesca e la Valletta del Silenzio un’oasi di verde che tutt’oggi resiste alla cementificazione a pochi minuti dal centro cittadino, a completare il paesaggio, poco distante dall’antica abbazia e attaccata alla forneria, la Nogarazza, antica osteria, prima che trattoria, che tra le sue mura accolse anche Antonio Fogazzaro e, riferendoci a quest’ultimo, è di un piccolo mondo antico che vogliamo parlare.

È infatti dalla Nogarazza, sempre di proprietà della famiglia Bari, che parte la nostra storia perché, fin dal 1903, l’Antica Forneria Bari sforna “il pane” e non un pane qualunque perché a Vicenza “el pan de Bari” è di fatto il sinonimo di pane, e sono molti a frequentare la bottega, è un andirivieni continuo a testimoniare la bontà del prodotto e l’impegno profuso dalla famiglia nella piccola attività artigianale.

Superato indenne il primo conflitto mondiale la forneria Bari continua la sua attività e si avvicendano i discendenti del fondatore, il pane, sia esso fresco o “biscòto” continua ad uscire dal vecchio forno in pietra e ad arrivare sulle tavole dei vicentini e su quelle della Nogarazza, assurta al ruolo di trattoria e frequentata da molta dell’intellighenzia vicentina dell’epoca che tra un litro di vino dei colli e un piatto di bacalà a la vicentina dava sfogo ad una sana goliardia.

Sant’Agostino, con la sua splendida badia è un angolo tranquillo, la Valletta del Silenzio è il refugium peccatorum di molti dei personaggi come Ubaldo Oppi, pittore squattrinato sempre con la sigaretta in bocca e il “gòto in man” (bicchiere di vino in mano ndr); Francesco “Checo” Elsi, menestrello e Adolfo Giuriato, poeta inquieto, il comune denominatore, oltre alla sincera amicizia e il grande amore per Vicenza, era proprio l’antica osteria che prendeva il nome da un’enorme “nogara” (noce ndr) che si ergeva maestosa nella corte.

I fatti, questa volta, si svolgono alla vigilia di un altro conflitto: la seconda guerra mondiale, siamo infatti nei tardi anni ’30 del novecento in una Vicenza, a differenza di quella odierna, viva, animata da personaggi come Neri Pozza, valente scrittore e poi editore, oppure Emanuele Zuccato, commediografo e scrittore che assieme ai già citati Oppi, Elsi e Giuriato ci ha lasciato nella sua “Vicenza di Ieri” una memoria viva di una città dove arte, musica, cultura e goliardia dipingono un paesaggio a tinte calde, così lontano da quello odierno omologato e sacrificato ai luoghi comuni.

“El pan de Bari” infatti rimane uno dei baluardi, una storia splendida di una Vicenza scomparsa e oggi come allora l’impasto viene preparato e poi lievita tutta la notte, gli unici alleati di Lorenzo, oltre a farina e lievito, sono olio extra vergine di oliva e sale, nulla di più perché all'Antica Forneria Bari si fa ancora come si faceva nel 1903, niente artifizi moderni in una produzione ancora quantitativamente invariata da oltre un secolo, che non ha assolutamente nulla di industriale e la differenza quando si addenta il prodotto è immediatamente percettibile.

Ammetto, con un po’ di malinconia, che el pan de Bari ha fatto parte anche della mia infanzia quando mio padre, finito il lavoro in redazione al Gazzettino, andava fino a Sant’Agostino a prendere le profumate “ciòpete” che spesso erano accompagnate da spesse fette di sopressa per la gioia di adulti e bambini
L’Antica forneria Bari non è solo pane e chi si avvicina al vecchio forno nei giorni che precedono Pasqua può farsi rapire dal profumo delle focacce, preparate ancora con l’antica ricetta vicentina, quelle focacce che non potevano mancare nel cestino del picnic suoi colli del lunedì dell’Angelo.

Oggi la Nogarazza non c’è più ma il vecchio forno a legna è ancora lì e ancora in funzione a pieno ritmo, davanti alla bocca c’è Lorenzo Bari, erede orgoglioso di oltre un secolo di storia, e sapienza, che con una gestualità immutata continua a disporre le “ciopète” nell’antico forno in pietra, garante di una genuinità inalterata e testimone di un artigianato che sta scomparendo, di un  artigianato che deve invece tornare ad essere alfiere di un colonizzato da consumismo e omologazione.

 

Giovanni Veronese

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