top of page

Il Re Del Rèbene

Del Rèbene, un piccolo paradiso sul cocuzzolo di un colle in quei Colli Berici, discendenti diretti di quello che nel miocene era un mare tropicale, quindi cocuzzolo, di origine vulcanica, che con ogni probabilità era un’isola ed oggi, grazie a Francesco Castegnaro e Claudia Serblin, è coperto di viti ed ulivi con qualche concessione agli alberi da frutto.
Ed è proprio delle viti che vorrei parlarvi, in special modo di quel Carmènere che, sui Colli Berici, per molti anni è stato spacciato per Cabernet Franc e che oggi, finalmente, viene riconosciuto ed apprezzato per quello che realmente è.

L’etichetta sulla bottiglia è minimalista ma reca impresso un 2015, anno della vendemmia, sulla retro troviamo invece le informazioni riguardanti le uve, due terzi Carmènere e un terzo Cabernet Sauvignon, e la vinificazione che prevede un affinamento per dodici mesi in tonneaux e poi un successivo affinamento di otto mesi in cemento vetrificato, oltre ad un necessario affinamento in bottiglia prima della commercializzazione.
Una fogliolina contornata da stelle ci informa anche che siamo in presenza di un prodotto biologico, l’azienda è infatti certificata a standard biologici sia per la produzione vinicola che per quella olearia.
Sopra l’etichetta fa bella mostra di sé anche un ribbon che certifica che The Wine Hunter, commissione del Merano Wine Festival, l’ha scelto tra i rossi che si sono distinti durante gli assaggi, un award che sicuramente ne certifica la qualità.

Dopo aver aperto la bottiglia ed essermi sincerato che la temperatura fosse quella giusta inizio mettendolo nel calice, rosso rubino fitto che tende decisamente al sangue di piccione, i quattordici gradi alcol si fanno subito notare con archetti stretti e gocce lente, il naso è incredibilmente intenso, frutti rossi, ciliegia matura su tutti, si mescolano alle spezie che completano un corredo olfattivo già ricchissimo.
Lo scambio aerobico è evoluzione ed emerge anche una nota di tabacco dolce da pipa e in fondo una nota balsamica che rimane difficile da decifrare ma ricorda da lontano l’eucalipto.

L’impatto con le papille è incredibile, i quattordici gradi alcol sono perfettamente integrati e non alterano in alcun modo il corredo varietale, ritroviamo integro il frutto che da ciliegia vira un po’ verso la marasca con sentori ancora più maturi al limite della confettura, in seconda battuta sono presenti le spezie e la nota balsamica molto tenue, la struttura è notevole, esempio di come potenza ed eleganza possano essere coniugate bene.
Il tannino, croce e delizia di molti rossi della zona, è presente e ne certifica la longevità, levigato ed elegante completa l’assieme in maniera perfetta senza mai dare sensazioni sgradevoli.
Che i Colli Berici continuino, positivamente parlando, a riservare splendide sorprese è un dato di fatto sarebbe bello che fosse loro tributato il riconoscimento che meritano e che, forse anche per una comunicazione spesso assente o carente, aspettano da troppo tempo.

 

Giovanni Veronese

© Riproduzione Riservata

bottom of page