L'omaggio a Gregorio. L'apologia del Grenache
La prima sorpresa è sicuramente l’etichetta, dal sapore piacevolmente antico, sulla quale fa bella mostra di sé un leone marciano “in moéca”, a definirne la provenienza da quelli che furono i Veneti Domini dello Stato da Tera della millenaria Serenissima Repubblica, la seconda è l’annata, perché trattandosi di un Barbarano, o Tai Rosso, cinque anni sono tanti vista la sua vocazione alla pronta beva ma andiamo con ordine.
Barbarano è l’equivalente di Grenache e parlando dei Colli Berici si parla proprio del Grenache francese e non della Garnacha spagnola, come ha provato una ricerca effettuata dalla professoressa Severina Cancellier della Scuola Enologica di Conegliano che ha riscontrato un allele differente nel DNA delle piante messe a dimora sui colli a sud di Vicenza.
Il Grenache, contrariamente alla tesi imperante a Vicenza, non arriva con i Canonici di Barbarano e, a voler essere onesti, non arriva neanche in prima istanza a Vicenza, arriva invece nel XIII secolo a Follina, in provincia di Treviso, e a portarlo dalla Francia sono i monaci Cistercensi, i Canonici di Barbarano, ai quali era stato inizialmente attribuito il merito di averlo importato, avranno il merito di diffonderlo ed allevarlo amorevolmente sui Colli Berici.
Ai monaci Cistercensi, ordine originario dell’Abbazia di Citeaux in Borgogna, va il merito di aver dato un impulso notevole alla viticoltura ad iniziare proprio dalla Borgogna, da sempre patria di grandi vini e terra prediletta di sua maestà il Pinot Noir.
Per molti anni quello che inizialmente era conosciuto come Tocai Rosso, poi divenuto Barbarano e oggi Tai Rosso, grazie ad un pasticciaccio burocratico in seno alla Comunità Europea, ha dovuto subire l’onta, a dispetto del prestigio della materia prima, appunto il Grenache, di essere classificato come “vinello” prevalentemente votato all’autoconsumo domestico e fino a poco tempo fa non c’era un disciplinare chiaro che ne stabilisse le caratteristiche, sia fisiche che organolettiche, solo in tempi recenti si è iniziato a dare al Grenache l’attenzione che merita e tra i capostipiti di questa nuova tendenza ritengo sia opportuno inserire anche Alessandro Pialli.
Gregorio, nome del nonno, classe 1911, mancato di recente, nella sua lunga esistenza ha dovuto subire la barbarie dell’internamento nei campi di prigionia nazifascisti, più precisamente a Dora Buchenwald, luogo dell’orrore che ha inghiottito tantissime vite innocenti, così nel 2011, per il centenario della nascita, il nipote Alessandro decide di dedicargli un vino, un vino che identifichi bene la terra del nonno e quale migliore scelta di un Barbarano?
Il momento è arrivato, preparo la degustazione con cura, anche se ammetto che il continuo passaggio davanti alla bottiglia coricata nel mio antro di Bacco mi ha più volte indotto in tentazione, la temperatura è un elemento fondamentale quindi verifico che sia tra i 18 e 20 gradi centigradi e mi sincero che il calice sia pulito e in assenza di odori.
Il leggero appassimento delle uve e il titolo alcolometrico presente in etichetta, ben sedici gradi, mi costringe a fare alcune considerazioni, prima fra tutte che questo Barbarano è unico nel suo genere.
L’apertura è attenta e fila tutto liscio, nel calice il vino si presenta di un rosso tenue con dei riflessi arancio sull’unghia, indice di un’evoluzione che nel caso di Gregorio si rivelerà ai successivi esami olfattivo e gustativo estremamente virtuosa, il colore è brillante e gli archetti sulle pareti del bicchiere tradiscono subito i sedici gradi alcol, mentre al naso l’effluvio alcolico si rivela ottimamente integrato e le note di frutti rossi maturi si alternano alla confettura con una piacevolissima nota finale di prugna secca.
L’impatto è strano e mi costringe ad abbandonare quasi subito l’idea del Tai Rosso per passare al "mode Grenache", la complessità e l’intensità sono notevoli e lo scambio aerobico determina cambiamenti abbastanza repentini delle sensazioni olfattive, non resta che resettare tutto e ripartire con l’analisi olfattiva per cercare di capire fino in fondo Gregorio.
L’approccio gustativo è incredibile, sedici gradi alcol perfettamente integrati e zero sensazioni sgradevoli, la gamma gustativa di grande complessità è tutta disponibile e si ripetono i frutti rossi, la confettura, la prugna con una leggera nota di marasca, la persistenza sfiora l’incredibile.
Approcciare vini come Gregorio, in molti casi, vuol dire dover chiudere fuori dalla porta il “convenzionale” ed iniziare ad esplorare un mondo nuovo, non canonizzato dalle regole enologiche, perché, ci piaccia o no, stiamo comunque parlando di un Tai Rosso.
Gli abbinamenti? Un brasato “vecchia maniera”, un formaggio molto stagionato a pasta pressata ma, a mio avviso, possono bastare solo un calice e molta voglia di esplorare, magari con il pensiero rivolto a nonno Gregorio che, sono certo, sarebbe orgoglioso dell’opera del nipote.
Giovanni Veronese
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