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La Locanda Cipriani

Dialoghi in libertà con Bonifacio Brass

Sulla Locanda Cipriani sono già stati versati fiumi di inchiostro, novantasei anni di onoratissima carriera sulla piccola isola di Torcello nella Laguna Veneta, un’isola ferma nel tempo con il suo shoreline caratterizzato dal campanile dell’antichissima Basilica di Santa Maria Assunta che risale al VII secolo d.C. e che quasi tredici secoli dopo si mostra ancora in tutta la sua imponenza.
Tutto inizia con una cordiale telefonata tra me e Bonifacio Brass, succeduto nel ‘96 in sequenza cronologica a Giuseppe Cipriani e alla figlia Carla, madre di Bonifacio, e oggi anima della Locanda .
Sulla piccola riva in mattoni sul rio antistante la Locanda sono approdati  Arturo Toscanini, Winston Churchill, Lady Diana Spencer, Farah Diba, Charlie Chaplin, Jack Nicholson e tra i molti altri potrei citare la Regina Madre d’Inghilterra e Elisabetta II oppure Marc Chagall e Maria Callas, Tom Cruise, George Clooney, Mick Jagger, Elton John e la lista sarebbe ancora lunga ma io mi fermo qui perché a me interessa la Locanda di oggi.
Bonifacio Brass, figlio d’arte in tutti i sensi, il padre Tinto, affermato regista e la mamma Carla Cipriani figlia di quel Giuseppe Cipriani che fu l’artefice sia del mitico Harry’ Bar che della Locanda, è la continuazione della specie ma non intende arroccarsi dietro ai successi del passato ed ha una sua visione personale della Locanda del XXI secolo che non è solo quella del mantenimento dello status di esclusività, bensì un concetto che fa sicuramente tesoro del passato ma guarda con intelligenza al futuro.


L’arrivo a Torcello è stato preceduto da una passeggiata in una Venezia deserta, spettrale, vittima del Covid e anche un po’ vittima di sé stessa, o meglio della monocultura turistica che impera da decenni e che non consente la diversificazione di un’economia che oggi boccheggia e vede molte delle attività commerciali in fortissima difficoltà.
In un’isola quasi totalmente deserta percorro la riva pavimentata in mattoni rovesciati, pavimentazione che richiama molto quella dei campi della Venezia antica, arrivo davanti alla Locanda con le finestre serrate, immersa in un silenzio assoluto, il piccolo specchio d’acqua della darsena è immobile e riflette pigramente la facciata alterandone un po’ i colori.
Mi accoglie Bonifacio Brass ed espletiamo subito le formalità anti Covid con la misurazione della temperatura e la disinfezione delle mani per poi accomodarci nel suo ufficio, muniti di mascherina e a distanza di sicurezza iniziamo la nostra chiacchierata parlando del presente della Locanda che, come tutti gli altri ristoranti sta risentendo in modo pesante delle misure anti contagio.

Il presente “targato” Bonifacio Brass, oggi unico proprietario della Locanda Cipriani, è la continuazione di una storia di successo ma quando gli chiedo se, al di là dell’evidenza anagrafica, si sente più Brass o più Cipriani, abbozzando sotto la mascherina un sorriso, mi risponde, con la schiettezza che ha contraddistinto tutta la nostra chiacchierata, che “lui è lui”, cosa che ha messo in chiaro quando è entrato in Locanda con entrambi i genitori, perché la conditio sine qua non era che ci dovesse essere un solo uomo al comando, ed un solo proprietario, e così è stato.

Tornando al 2020, almeno sulla carta, si presentava all’inizio come un anno “con il botto”, volendo usare le parole del padrone di casa, peccato che il botto ci sia stato ma in un altro senso, ovvero sessantasette giorni di lock down per la prima ondata pandemica fino alla riapertura che Bonifacio Brass descrive, nonostante la sua lunga esperienza come ristoratore ed imprenditore, in maniera ingenua, quasi fanciullesca, come un “primo giorno di scuola” con le gambe che tremavano.
In questo lasso di tempo, non potendo puntare per ovvi motivi logistici su delivery e take away, la serrata della Locanda è stata totale ed è solo grazie a scelte imprenditoriali oculate, seppur con evidente affetto parla apertamente e concretamente di azienda, e a quelle che lui definisce le “spalle grosse della Locanda” che si sono potuti limitare i danni.
L’estate scorre bene, la continuazione di un successo figlio del fatto di “aver seminato bene”, la Locanda, senza l’afflusso dei turisti e lavorando solo con la clientela affezionata  e qualche turista di prossimità, ricomincia anche con gli eventi tra i quali anche un matrimonio, ovviamente con tutte le restrizioni imposte dalle norme anti Covid e su questo lo staff non fa sconti a nessuno tanto che vengono messi anche degli steward che come unico compito hanno la verifica del rispetto delle norme, il resto è praticamente storia dei nostri giorni, un’altra serrata serale ed altre limitazioni tanto che la Locanda chiude e riaprirà solamente a fine febbraio 2021.

Il Covid, presa coscienza della situazione emergenziale con tutti i suoi ovvi limiti, per Bonifacio è stato anche un momento di riflessione, come dice lui “di riprogrammazione”, perché la sua convinzione è quella che nulla sarà più come prima almeno nel breve termine, vede nella flessibilità, intesa come la capacità e la velocità nell’adattarsi alla mutevolezza degli eventi, un futuro punto di forza per affrontare il periodo post pandemico che non offre punti di riferimento certi.
Sul fronte gestione della pandemia, la critica, seppur velata, è a quel sistema informativo che ha lasciato molti un po’ alla deriva con comunicati poco tempestivi o addirittura un vero e proprio vuoto informativo che ha penalizzato molti, pur riconoscendo che il Covid era una situazione nuova per tutti, anche per chi doveva decidere sulle misure da adottare a livello nazionale.

Sul futuro c’è uno spiraglio di ottimismo, il 2021 sarà un anno intenso e qualora la pandemia allentasse la morsa e si potesse instaurare un regime di semi-normalità lavorativa, alla Locanda sono pronti ad accogliere gli avventori, considerando anche il fatto che il calendario degli eventi prenotati è già fitto di impegni per la squadra di Bonifacio Brass.
“La squadra”, come la chiama lui, è, e si percepisce nettamente dall’enfasi che mette nel parlarne, il grande punto di forza della Locanda, affiatata e ben coordinata sa gestire in modo efficiente, ed efficace, una struttura complessa ed eventi di altissimo profilo che richiedono grande competenza e la capacità di lavorare assieme.
“Non tutto è per tutti”, in questa frase di Bonifacio Brass il lettore frettoloso potrebbe rilevare una certa quantità di snobismo ma la realtà è ben diversa ed il detto trova applicazione in una serie di situazioni pressoché infinita, essere la Locanda Cipriani comporta la creazione di un’aspettativa molto alta per quanto riguarda gli standard offerti e mantenere questo livello è una responsabilità della quale “la squadra” si fa carico ogni giorno.

Dalla cucina, dove il giovane chef Cristian Angiolin opera a stretto contatto con Bonifacio per tutte le decisioni strategiche che riguardano il menu, alla sala dove agli addetti è richiesta un’attenzione assoluta tutto segue dei dettami prefissati, e attentamente concepiti, per essere all’altezza delle aspettative di una clientela attenta, che ha scelto la Locanda per la sua fama o che ci ritorna, e si fidelizza, proprio perché gli standard sono tra i più alti in assoluto.
Il menu mantiene un tratto molto tradizionale, la parola d’ordine è non stravolgere l’impronta che ha decretato il successo per quasi un secolo, e le materie prime privilegiano la cucina lagunare con preparazioni estremamente rispettose dell’integrità delle stesse, dalle sarde “spinate” in saòr o i fiori di zucchina in pastella con il ripieno di gamberi reali, tra i primi piatti resistono la mitica pasta e fagioli di Cipriani, la pasta alla Locanda, come chiaramente specificato nel menu, è rigorosamente fatta in casa e, ulteriore omaggio all’isola, la zuppa di pesce di Cipriani, il risotto alla Torcellana ha il sapore antico degli orti delle isole e dell’estuario, richiamando alla mente l’isola di Sant’Erasmo, orto della Repubblica di Venezia e ancora oggi dimora di alcune piccole aziende che portano sulle tavole di ristoranti e famiglie prodotti bio, tra i quali i famosi carciofi di Sant’Erasmo, le castraure per dirla alla veneziana.
Tra i secondi, oltre al pesce della laguna, svetta imperioso quel fegato alla veneziana per il quale si vocifera che lo chef abbia una mano santa nel proporre un piatto che potrebbe sembrare scontato ma invece è tutt’altro che banale ed è saldamente nella top list di moltissimi veneziani, orgogliosi di una cucina che sa coniugare acqua e terra e che nel menu della Locanda trova la sua perfetta rappresentazione con alcune opportune, e misurate, rivisitazioni.

La carta vini è completa e ben presentata, tiene in buon conto i vini territoriali veneti, con Valpolicella, colli Euganei, Doc Breganze e Prosecco ben rappresentati, buona la scelta dei friulani e buona anche la scelta per quanto riguarda il resto della penisola.
L’apertura della carta, nel rispetto della giusta progressione, è riservata alle bollicine con una buona scelta di vini italiani che spazia dal Trento Doc al Franciacorta, buona la scelta anche dei cugini d’Oltralpe: gli champagne, con qualche concessione ai piccoli produttori nel display che propone una varietà notevole.

La mia visita, in pieno periodo di Covid, non mi ha permesso di mettermi a tavola ma conservo un ricordo stupendo di quando la locanda era ancora il regno di Carla Cipriani, “Una donna che ci vedeva lungo” come l’ha definita il figlio, e attuale patron, il ricordo di una grande eleganza, quel tipo di eleganza che non cade mai nell’ostentazione, quell’eleganza che come diceva Audrey Hepburn, anche lei ospite alla Locanda, “Non sfiorisce mai”.
Il rimettere i piedi sotto la tavola alla Locanda è quindi solo rimandato e la primavera è sicuramente la stagione adatta per una visita a Torcello.

 

Giovanni Veronese

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