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Il Granchio Blu in Laguna di Venezia
Sciagura o opportunità?

Dopo l'inquinamento di Porto Marghera, i condomini galleggianti, il moto ondoso, i devastanti escavi di canali che stanno trasformando la Laguna di Venezia in un braccio di mare alterandone i delicati equilibri, ecco arrivare il granchio blu, nome scientifico callinectes sapidus, classificato nel 1896 da Mary Jane Rathbun, zoologa e carcinologa statunitense.

Il granchio blu, o blue crab come viene comunemente chiamato negli Stati Uniti, è un crostaceo che arriva dalle coste atlantiche del continente americano trasportato fino nel Mediterraneo dalle acque di zavorra delle navi che, dopo aver colonizzato nella totale inerzia istituzionale alcune aree dell'Adriatico procurando notevoli danni, da qualche tempo ha fatto il suo ingresso in forze anche nella Laguna di Venezia.

Un crostaceo particolarmente vorace che, almeno nella Laguna di Venezia, non ha competitors e sta letteralmente distruggendo la fauna ittica autoctona mettendo in crisi il comparto della pesca, con particolare riferimento a chi alleva vongole che sta facendo i conti con vere e proprie stragi.

La relazione intitolata “Environmental drivers of size-based population structure, sexual maturity and fecundity: A study of the invasive blue crab Callinectes sapidus in the Mediterranean Sea” (Driver ambientali della struttura della popolazione basata sulle dimensioni, maturità sessuale e fecondità: uno studio sul granchio blu invasivo Callinectes Sapidus nel Mar Mediterraneo) della ricercatrice Sanja Puljas dell'Università di Spalato mette in evidenza sia l'invasività di questa specie che le incredibili dinamiche riproduttive, che portano una femmina a produrre tra i sei e gli otto milioni di uova con una natalità stimata tra il 15 ed il 20%.
La dottoressa Puljas definisce il granchio blu un “predatore opportunista” con un “comportamento particolarmente aggressivo” e capace di “avere un impatto fortemente negativo sulla fauna ittica locale” tanto da “causare l'estinzione di alcune specie autoctone”, le conclusioni della ricercatrice dell'Università di Spalato sono ampiamente condivise da ricercatori di molte altre università in Europa ed in altri Paesi.

Il rischio concreto è che la Laguna di Venezia si trasformi nel più grande allevamento di granchi blu del pianeta a discapito delle specie locali che non potrebbero reggere la concorrenza, e questo comporta anche il rischio di estinzione per la gastronomia locale che si vedrebbe privata dei gustosissimi capparossoli, delle pevarasse e di molte altre gustose specie che da secoli riempiono i piatti di osterie e trattorie lagunari, e non solo.

Trainata dall'inguaribile tendenza veneta di trasformare i cataclismi in opportunità, salvo poi scoprire che erano solo cataclismi, il “granso blu veneto”, come qualcuno l'ha già voluto definire sui social con tanto di pagina istituzionale, ha stimolato la fantasia di molti, nella maggior parte dei casi sedicenti, chef che con poca fantasia hanno proposto, senza partorire alcuna ricetta, abbinamenti con prosecco e addirittura spritz, non si sa se liscio o macchiato.

Il maschio è già stato associato alla basilica della Salute e la femmina al Paròn de Casa ovvero il campanile di piazza San Marco, questo grazie ai somiglianti disegni creati dalle intersezioni delle placche cornee nella parte inferiore del carapace, adesso attendiamo con terrore che ci venga servito in piatto a forma di corno dogale con una salsiera a forma di gondola per completare un'operazione di marketing “alienativo” che fa di ignoranza ed avidità presupposti irrinunciabili.

Qualcuno è addirittura arrivato a conferire la “cittadinanza veneta” al “granso” blu sostenendo che è apparso in Laguna per la prima volta negli anni '50 del novecento, cosa probabilmente vera ma come sostiene uno studio recente dell'Università Ca' Foscari di Venezia, che assieme alla Regione Veneto ha avviato un progetto di monitoraggio della specie, che testualmente recita: “Nella laguna di Venezia i primi esemplari sono stati rilevati attorno al 1950, ma le presenze sono diventate più frequenti solo a partire dagli anni 2000”, quindi per cinquant'anni la presenza del granchio blu è stata trascurabile, se non insignificante.

Sui social, e su molti siti web, spopolano le ricette e sono in molti a definire il vorace crostaceo una prelibatezza ma si sa le nuove mode spesso sono basate sull'entusiasmo del momento e molto spesso sull'onda della novità e creano suggestioni effimere.

Il mio primo incontro con il blue crab risale al 1991 mentre mi trovavo negli Stati Uniti e già all'epoca l'avevo definito ordinario, tanto che la gastronomia locale lo proponeva condito in molti modi e raramente bollito, il secondo incontro nel 2008 sull'isola di Antigua in un ristorante creolo e anche lì mi venne ammannito condito e fortemente speziato, finalmente l'anno scorso in un ristorante dell'entroterra veneziano sono riuscito ad assaggiarlo bollito riconfermando il mio giudizio di assoluta ordinarietà.

Tanta iniziativa dovrebbe, secondo alcuni, attraverso il consumo e la pesca massiva, contenere la popolazione del vorace crostaceo, teoria, che come i serbatoi di zavorra delle navi, fa acqua da tutte le parti, perché secondo alcuni la velocità riproduttiva e l'aggressività, e la voracità, del callinectes sapidus gli permetterebbero comunque di fare danni irreparabili.

Il rischio reale, come ho già scritto, e assolutamente non trascurabile, è che qualche “avveduto” imprenditore dalle tasche profonde ma dalla vista corta voglia farne il business del momento rendendolo un abitante stabile dei nostri mari e della Laguna, sacrificando così secoli di ecosistema e di gastronomia, forse lo scopriremo quando uno “Spaghetin co le cape” o un “cassopipa” costeranno cifre stellari.

Esistono dei sistemi e per ovviare al problema sarebbe stato opportuno attenersi a quanto prescritto dai regolamenti vigenti di navigazione secondo i quali i serbatoi di zavorra di ogni nave dovrebbero essere dotati di filtri dove vengono rimossi ogni particella e organismi più grandi di 50 micron, una volta filtrata l'acqua deve passare obbligatoriamente attraverso l'unità di trattamento a raggi UV per poi essere convogliata ai serbatoi di zavorra della nave, viene da chiedersi perché il sistema non rientri tra quelli obbligatori per l'entrata in un ecosistema fragile come quello della Laguna di Venezia. E se rientrasse nei dispositivi previsti come mai non sono stati fatti controlli? Ritengo che come molti altri quesiti anche questi rimarranno senza risposta.

 

Giovanni Veronese

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