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La Malvasia il vino dei Padri

Giuseppe Boerio nel suo Dizionario del dialetto veneziano, anche se recentemente si è dibattuto molto sul fatto che il veneziano non sia un dialetto bensì una lingua, lo definisce “Greco o grechetto, vino navigato che ci viene dal Levante”, da quel Levante dominio veneziano della Serenissima Repubblica teatro di epiche vittorie e di drammatiche sconfitte.
Monemvasia o Malvasia, nel Peloponneso, origine del nome che a Venezia rimane vivo attraverso i Nizioleti, ovvero quella splendida toponomastica dipinta sui muri delle case e dei palazzi nobili ed è Giuseppe Tassini a dirci che: “Questa, ed altre strade di Venezia, ripetono il nome dalle «malvasie», che erano botteghe ove vendevansi vini navigati, e specialmente quello proveniente da Malvasia, città della Morea. […] La malvasia si divideva in «dolce», «tonda», e «garba»”.
Ma Monemvasia, o Malvasia, è solo uno dei riferimenti di un mondo molto più vasto, è infatti recente la scoperta di ben quarantasei varietà di Malvasia, e ce lo fa sapere nientemeno che Giacomo Casanova che conclude una sua avventura erotica veneziana con un’avvenente popolana, tra gli orti di San Giuseppe di Castello, con “pollastra fredda e vino Scopolo”, quel vino Scopolo che altro non è se non la Malvasia dell’isola di Skopelos, abbastanza comune a Venezia nel secolo del libertino, non così rara come si legge nel sito di una prestigiosa enoteca.
Oltre a quella di Skopelos era rinomata quella di Creta, che a differenza di quella di Monemvasia pagava un dazio minore “….solo X libre….”, si legge in un capitolare del Senato veneziano datato 2 luglio 1342, che così, secondo alcuni, divenne la più venduta a Venezia.
È sempre il Tassini a farci sapere che la malvasia aveva anche un ruolo, per così dire, istituzionale: “Troviamo nelle spese pubbliche, registrate presso il Magistrato delle «Rason Vechie», che di tal vino con semplici biscottini componevansi le colazioni degli stessi elettori dei dogi. E di tal vino usavasi anche pel sacrificio della Messa, e per le comunioni, che un tempo amministravansi sotto ambedue le specie”.
Sui bottegai “da Malvasia” sappiamo che “Essi non potevano vendere vini nostrani, non far da mangiare, non dare carte da giuoco, né innalzare insegna, forse perché, non contenti della semplicità, ingombravano le vie, unendovi rami d'alloro, festoni, ed altri ornamenti. Ai medesimi era eziandio proibito d'aprir botteghe nelle strade più frequentate”, una delle botteghe più rinomate era quella di calle del Remedio dove fin dal 1573 era aperta una bottega da Malvasia che in quell’anno era di proprietà di un certo “Lorenzo di Remedio dalla Malvasia” e molti altri sono i luoghi dove l’attuale toponomastica ci ricorda che sorgevano queste botteghe.
Le Malvasie, per tipologia, si collocavano all’apice di una piramide qualitativa, che vedeva nel gradino immediatamente sotto le osterie, tanto care a Carlo Goldoni, ancora più giù i “Magazini”, o “Bastioni”, a metà tra un banco dei pegni ed una mescita di vino di infima qualità detto appunto “vin da pegni” perché in questi locali era possibile impegnare effetti personali ricavandone due terzi in danaro e un terzo in vino, e sui Bastioni è ancora Giacomo Casanova a venirci in soccorso facendoci sapere che nel secolo dei Lumi a Venezia ce n’era uno per ogni parrocchia e rimanevano aperti tutta la notte.
Tornando al vitigno possiamo raccontare due storie che narrano due viaggi paralleli anche se in epoche diverse, quella più antica ci racconta che il vitigno, partito dall’Ellade, il comune denominatore delle due storie è infatti il luogo di origine del vitigno, arriva in Sicilia con il nome di Greco, o Grecanico, e poi piano risale la penisola assumendo nomi diversi come Greco di Tufo nell’attuale Campania, Grechetto in Umbria e proprio dal Grecanico siciliano viene mutuato il nome Garganega, o Garganego, base di vinificazione di un grande bianco classico come il Soave.
La malvasia veneziana, come ha già detto Boerio, era invece un vino “navigato”, ovvero un vino che arrivava via mare con le galee “grosse da merchado” che solcavano numerose quello che allora, fino ai confini con l’attuale Mar Ionio, era conosciuto come il Golfo di Venezia, riportando nelle loro stive, oltre agli otri di Malvasia, mille altre mercanzie.
Una volta scaricato dalle galee subentrava un sistema capillare di distribuzione che aveva il suo braccio operativo nei “Burceri”, ossia i capitani dei "Burci", imbarcazioni tipiche veneziane, che avevano il compito di distribuire il vino in città ai “Malvasioti”, i conduttori e proprietari delle Malvasie.
La varietà più comune della Malvasia, diretta discendente di quella del Levante veneziano, è la Malvasia Istriana che dimora, come dice il nome, prevalentemente in Istria, oggi Croazia, dove è conosciuta con il nome di Malvazjia, ma anche in buona parte della Slovenia dove è sicuramente il vino bianco più conosciuto.
In Italia resiste con alterne fortune in Friuli Venezia Giulia, con la massima estensione vitata nella zona del Collio, e produce un bianco austero dai sentori minerali e fruttati che bene si abbina con la cucina del pesce povero, non disdegnando però neppure preparazioni più nobili.

Per la nostra degustazione abbiamo scelto un IGT (Indicazione Geografica Tipica) molto particolare e volendo descriverlo in modo esauriente è opportuno partire dai quarant’anni di età del vigneto dal quale è prodotta in poche bottiglie, l’occhio è rapito da un colore paglierino intenso, di una brillantezza incredibile, e sulle pareti del calice la glicerina ci fa capire che i quattordici gradi menzionati in etichetta ci sono proprio tutti, l’effluvio anticipa note di frutta a polpa gialla, mentre il gusto si articola bene tra frutta e mineralità con varietali assolutamente integri nonostante il notevole titolo alcolico.
La Malvasia degustata è quella di Andrea Visintin, patron e anima enologica della Magnàs, una piccola azienda agricola immersa tra i vigneti nella zona di Cormons, nel Collio Goriziano, segnalatami da un amico enologo che si era premurato di raccomandarmela come produttore di Malvasia “alla vecchia maniera”
Il mio peregrinare “per Malvasie” mi ha spesso portato anche oltre confine, in quello Stato da Mar della Serenissima Repubblica, ad assaggiare piccoli, talvolta microscopici, produttori ma di questo parleremo un’altra volta.

 

Giovanni Veronese

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